Come funziona il vaccino per COVID-19 di BioNtech-Pfizer

Scrivo il 16 novembre del 2020: come FORSE avrete sentito nell’ultima settimana, il 9 novembre Albert Bourla, CEO di Pfizer, ha rilasciato un comunicato accompagnato da una press release, ripreso credo da ogni testata, rotocalco, sito di news o ciclostilatore del pianeta, in cui annunciava che sino a quel momento il vaccino per la COVID-19 stava dando ottimi risultati. Il vaccino, ideato da BioNtech (avrei voluto approfondire circa l’azienda, ma Shy lo ha fatto prima e meglio di me) e sviluppato in collaborazione con il colosso tedesco, è stato infatti “efficace oltre il 90% nel prevenire la COVID-19”. Cosa questo voglia dire lo spiega benissimo BioLogicismi, per cui vado al punto.

Questo vaccino è eccezionale sotto diversi aspetti. Il primo e più importante è che si basa su una tecnologia mai testata prima su scala così ampia come quella che si prefigura per il vaccino di BioNtech-Pfizer: la sola UE ne ha già ordinato 200 milioni di dosi, con un’opzione per altre 100. Ma passiamo alla ciccia.

Come funziona il virus

Ok, andiamo per gradi. Prima di spiegare come funziona il vaccino, devo raccontare un paio di cose su come funziona il virus. Saltate tranquillamente se lo sapete già.

Cominciamo dall’immagine che ormai è è ben familiare, quella del virus SARS-CoV-2 (COVID-19 è il nome della malattia) realizzata dal CDC di Atlanta:

La parte grigia rappresenta l’envelope del virus, cioè una membrana che delimita il “dentro” e il “fuori” del virus, del tutto simile a quella delle cellule animali – anzi, in effetti tecnicamente l’envelope è fatto da porzioni di membrana delle cellule ospiti (il bastardo). Le capocchie rosse sulla superficie del virus rappresentano invece delle copie di una proteina chiamata “proteina spike”: hanno una parte che si conficca nell’envelope (e che ovviamente non è visibile in questa immagine) e una parte esterna, quella visibile.

Le proteine spike sono le proteine principali con cui il virus si introduce nelle cellule dell’organismo ospite[1] (nella fattispecie, una curiosa scimmia catarrina che vive in simbiosi con una specie di piccoli felini): in breve, quando il virus incontra una cellula respiratoria, le sue proteine spike interagiscono con delle proteine transmembrana esposte sulla superficie delle cellule respiratorie. Queste proteine sono i recettori ACE2 (che ovviamente servono a tutt’altro; le spike del virus si sono evolute per sfruttarle, ma non è che la cellula tenga lì quei recettori in attesa che un virus arrivi e inizi a sfruttarla – sono proprio quegli ACE2 oggetto di bufale assortite girate su WhatsApp): a seguito dell’interazione spike-ACE2, la proteina spike fa partire una sequenza di eventi al termine del quale l’envelope del virus si fonde con la membrana della cellula ospite.

Ora tutto il contenuto del virus, che è molto più piccolo della cellula, si trova all’interno della cellula: diverse proteine ed il materiale genetico del virus (i Coronavirus funzionano a RNA, anziché a DNA come noi scimmie, ma la funzione è la stessa) viaggiano in giro per la cellula, “schiavizzandola” per produrre altri virioni[2] (un virione è la singola particella virale – è un po’ come dire “un virus”), sino ad esplodere liberando in giro molto altri virioni (o un sacco di altra roba brutta, come fondere le cellule in gigantesche cellule polinucleate chiamate “sincizi”… non siamo ancora perfettamente coscienti di ciò che esattamente faccia questo virus).

Tutto questo è possibile perché il virus (anzi, tutti i virus) hackera il normale meccanismo di produzione di proteine della cellula: le informazioni per produrre una proteina sono prese dal DNA – che però se ne sta protetto nel nucleo, mica se ne va in giro. Al suo posto, il pezzetto su cui c’è l’informazione di interesse viene copiato da un’altra molecola, molto più piccola e molto simile: il mRNA. Il mRNA (nelle cellule) è una specie di copia temporanea delle informazioni – la sua funzione è “solo” quella di andare dai ribosomi della cellula, dir loro “oh fra, c’è da fare della MAGL[3], ecco qua come si fa” e poi fondamentalmente, morire (il RNA è una molecola molto più instabile del DNA). A quel punto il ribosoma produrrà la proteina in questione e tanti saluti[4].

Ecco, il virus (come ogni virus) si infila qui in mezzo: riversando nella cellula il suo materiale genetico fa sì che i meccanismi cellulari siano al suo servizio, producendo le sue proteine, che messe assieme genereranno un sacco di propri allegri discendenti che ammazzeranno la cellula e andranno in giro a far danni.

L’ho detto che è un bastardo.

Fra le proteine del virus descritte dal suo RNA, c’è, naturalmente, anche la proteina spike. Teniamolo a mente.

Come funziona la risposta immunitaria ai virus

Oh, scusate, ma ho veramente bisogno di raccontare anche questo. Ancora, se lo sapete, prossimo paragrafo per voi. SONO SOLO CENNI, quindi mi raccomando, se siete interessati approfondite altrove.

Dunque, siamo rimasti alle cellule dell’ospite che esplodono allegramente, rilasciando in giro una quantità demenziale di nuovi virioni; ma è noto a tutti che la maggior parte dei malati di COVID-19 guarisca, quindi non è che proprio il virus faccia il cacchio che gli pare a tempo indeterminato.

Questo perché l’evoluzione ci ha dotati piuttosto presto di un sistema di fuoco contro la feccia virale che prova a fare il bello e il cattivo tempo nel nostro organismo: l’immunità umorale[4].

Ad un certo punto, nel suo vagabondare per l’organismo ospite, un virione, o una sua parte, incontrerà una cellula… un po’ diversa. Si tratta dei linfociti B.

E adesso sono cazzi, amico. Perché i linfociti B non sono gente con cui scherzare: cominciano ad analizzare quello che hanno incontrato e, in particolare, riconoscono un pezzetto della proteina spike di cui parlavo sopra, quello che negli scorsi mesi è stato battezzato Receptor Binding Domain (RBD). Si chiama così perché è il pezzetto tramite cui la proteina spike si lega ai recettori ACE2 delle cellule di scimmia, ed anche perché i biochimici strutturali non è che abbiano molta fantasia coi nomi (sui biologi molecolari stendo un velo pietoso).

Questa cosa ai linfociti B non piace per un cavolo[5]; non gli piace proprio per niente. E allora iniziano a fare quello che fanno meglio: si incazzano come delle bestie, si digievolvono in plasmacellule ed elaborano delle molecole fatte su misura perché siano queste ad andare a legarsi proprio con l’RBD, ne sintetizzano più che possono e BOOM!, le sparano in circolo, come proiettili benedetti dritti al cuore del virus eretico. Quando queste arrivano ai virioni, si legano alle proteine spike, bloccando la loro funzione e rendendo il virus incapace di invadere le cellule umane.

Adesso chi fa il figo, eh? EEEEEEEH, SFIGATO?!?

Questo per quanto riguarda i linfociti B più caldi e proni all’ira. Ma i più riflessivi e studiosi fra loro intraprendono una via diversa: non maturano in plasmacellule, ma in cellule della memoria; restano in circolo più a lungo, molto più a lungo, e se mai nel corso della loro vita (che può durare quanto quella dell’organismo che le ha generate) dovessero di nuovo incontrare quel frammento di proteina (l’antigene), si differenzierebbero immediatamente in plasmacellule, saltando un sacco di passaggi che farebbero perdere giorni per la risposta immunitaria, ed iniziando immediatamente a vomitare le molecole specifiche contro quell’antigene (l’avrete capito, ma queste sono i famosi anticorpi, più specificamente le immunoglobuline G) e annientando immediatamente i nuovi invasori prima che la loro proliferazione abbia inizio, o che assuma dimensioni preoccupanti.

Naturalmente, e la cronaca ce lo ricorda dolorosamente, non va sempre così. A volte il sistema immunitario non riesce a completare il processo prima che il virus abbia fatto troppi danni (le cellule che esplodono o si fondono non sono esattamente una cosa positiva), altre la risposta immunitaria (che è enormemente complessa e coinvolge molti più attori di quelli cui ho accennato qui) è troppo energica, e nella sua furia il sistema immunitario finisce per danneggiare irreparabilmente il proprio stesso organismo.

Se però ci fossero già in giro delle cellule B della memoria con il ricordo di quello specifico virus al tempo della prima infezione, è quasi certo che l’invasione verrebbe stroncata sul nascere. Ed è, lo saprete bene, il principio secondo cui funzionano i vaccini.

Come funziona (finalmente) il vaccino di BioNtech-Pfizer

Normalmente, la generazione di cellule della memoria prima che la malattia vera e propria abbia luogo si ottiene iniettando nell’organismo gli antigeni stessi: pezzetti dell’involucro del virus (o del batterio, mica tutto questo funziona solo per i virus, anche se per i batteri il meccanismo è un po’ diverso), o il virus stesso, morto o in forma cosiddetta attenuata. Questo, pur ottimo, presenta però qualche svantaggio, fra cui la difficoltà nel produrre enormi quantità di vaccino in un tempo relativamente breve (che guarda caso è esattamente ciò che ci servirebbe adesso) ed il fatto che, nel caso di virus interi, il virus comunque metterebbe in atto le proprie difese contro il sistema immunitario (hanno pure quelle, ‘sti infami), complicando il lavoro al sistema.

Come si possono aggirare o quantomeno ridurre questi svantaggi, soprattutto quello della velocità di produzione?

Non sarebbe fighissimo se si potesse far sì che sia l’organismo stesso a produrre la molecola che poi verrà riconosciuta dal sistema immunitario?

Ecco, è esattamente quello che fa questo vaccino.

Si chiama BNT162b[6] ed è costituito da dei “sacchetti” di membrana (vescicole lipidiche) pieni di molecole di mRNA (oddio, pieni… in una dose ce n’è 30 milionesimi di grammo. Ma vabbè, basta quello), quelle di cui parlavo sopra. Queste portano esattamente l’informazione per la proteina spike; il mRNA di BNT162b entra quindi nelle cellule umane, fa produrre loro solo la spike di SARS-CoV-2 (quindi niente cose sgradevoli tipo esplosioni, fusioni in gigantesche cellule polinucleate e altre amenità causate da ‘sto virus demmerd) e questa viene immessa in circolo, dove le plasmacellule potranno caricare le armi e le cellule della memoria prendere i loro appunti per la risposta immunitaria. Che sarà più pronta e potente di quella ottenuta coi vaccini tradizionali, perché in assenza del virus stesso, il sistema immunitario potrà per così dire “concentrarsi” solo sul produrre anticorpi specifici e cellule B della memoria.

INOLTRE E’ UNA FIGATA PAZZESCA!!! FAR FARE L’ANTIGENE ALLE CELLULE UMANE! CHEFFICO!!!

Grazie infinite per i secoli a venire, SMBC Comics

Qualche piccola perplessità

Ma.

C’è qualche questione aperta.

Pfizer, pressata dalle richieste dell’opinione pubblica, ha deciso di rendere pubblico il blueprint del trial clinico per il vaccino, cioè il progetto del processo di sperimentazione del vaccino.

Il trial è progettato benissimo e rispetta ovviamente tutte le normative in questione; c’è molta attenzione alla sicurezza dei partecipanti e del prodotto finale. Tuttavia, il trial prevede delle visite attente agli effetti collaterali della somministrazione di BNT162b fino a sei mesi successivi alla somministrazione della seconda dose e visite fino a due anni dopo, atte a controllare se nel siero siano ancora presenti gli anticorpi specifici per SARS-CoV-2: le cellule della memoria, infatti, non sono tutte uguali, e se per alcune malattie persistono per tutta la vita di un individuo, per altri sono efficaci per poche settimane (basta pensare che il vaccino antipolio viene somministrato una volta sola, mentre di raffreddore ci si può ammalare continuamente, nonostante pure quello generi plasmacellule eccetera). Durante queste visite è anche possibile che vengano segnalati degli effetti indesiderati ragionevolmente riconducibili al vaccino, e se questo è il caso il medico deve segnalarli alla Pfizer.

Ora, è ragionevole pensare che sei mesi siano una finestra di tempo sufficiente a determinare effetti a lungo termine e che la tecnologia a mRNA sia molto sicura. Ma al momento non siamo nemmeno lontanamente vicini a questo limite di tempo. E questo è notevole soprattutto perché questa è una tecnologia che non è mai stata sperimentata per la somministrazione su vasta scala. Chiunque abbia esperienza di pratiche sperimentali sa perfettamente che non sempre le cose vanno come dovrebbero andare, e semplicemente non abbiamo idea di cosa succeda ad un organismo umano uno, due, cinque anni dopo che gli è stato somministrato del mRNA codificante per una proteina esogena, come in questo caso. È ragionevole pensare che le conseguenze siano nulle, ma rimango perplesso della corsa che c’è stata all’acquisto di centinaia di milioni di dosi di questo vaccino. L’impressione è che, data la (innegabile) grande urgenza che c’è di porre rimedio alla pandemia che affligge l’umanità, l’aspetto tecnologico, quello del deus ex machina che ci salvi dal grande male, abbia preso il sopravvento su quello scientifico, che non può che dire “nel peggiore dei casi, semplicemente non sappiamo cosa possa succedere”. Spero che questo pensiero invecchi male, ma è una questione di metodo: sperare non è un atteggiamento scientifico.

Ci sono anche altri aspetti relativi all’efficacia del vaccino stesso: i dati di cui disponiamo al momento sono fondamentalmente i comunicati dello sperimentatore stesso. Ma ad esempio non sappiamo se il vaccino sia efficace allo stesso modo sulle varie coorti di età, per i pazienti più anziani per esempio, che sono anche quelli più esposti al rischio di conseguenze gravi o fatali della malattia. Né, per l’intrinseca questione dei tempi, quanto a lungo duri l’immunità conferita.

Ancora, il mRNA è una molecola instabile (lavorare col mRNA è un dannato incubo, credetemi), che al contrario del DNA si degrada facilmente e richiede di rimanere costantemente a temperature fra i -70° e i -80° C; questo crea problemi nella catena logistica di trasporto e somministrazione che, certo, sono affrontabili ma… da persona abituata a ricevere consegne di reagenti che dovrebbero viaggiare a -80° C in ghiaccio secco… vabbè, auguri (speriamo bene).

Infine, sono rimasto impressionato dall’attenzione mediatica che si è scatenata attorno a questo vaccino. Questa è vorace e volubile, e non tiene conto di considerazioni meno “cool” ma importanti, come il fatto che parallelamente diversi altri vaccini stanno venendo sviluppati, basati su questa tecnologia o su metodi più tradizionali, e che a loro volta arriveranno sul mercato – per fortuna aggiungerei, data la scala della vaccinazione. La settimana scorsa questa attenzione ha raggiunto i picchi massimi, i mercati hanno reagito e il CEO di Pfizer ha (condivisibilmente) pensato di approfittarne incassando più cinque milioni e mezzo di dollari dalla vendita di azioni: non credo che questo sia un cattivo segno della qualità del vaccino (avrei probabilmente fatto lo stesso), ma certamente indica come anche in queste questioni l’importanza dell’opinione pubblica sia fondamentale nel determinare il valore di una scoperta o di una produzione scientifica. È così che “la scienza” deve ottenere valore?

Mah.


Whew, che mostruosità di pezzo. Spero sia stato utile per capirci qualcosa di più; se, al netto delle necessarie semplificazioni, trovaste errori per favore segnalatemeli, controllerò e interverrò prontamente (e vi ringrazio pure). Al solito, c’è una pagina Facebook su cui linko tutto.

Ne approfitto per ringraziare gli amici Stefano Ori e Alessandro Demichelis per i lunghi e proficui confronti.

Alla prossima!

Le (fondamentali) note

[1] Tra l’altro, le proteine spike si vedono bene al microscopio elettronico, conferendo a SARS-CoV-2 e a tutti i suoi parenti stretti un aspetto “coronato”: ecco perché si chiamano “Coronavirus”.

[2] È un processo complicato, che implica molti passaggi e la comprensione di termini ridicolmente astrusi come “monocistronico”; siccome la descrizione completa del processo di infezione dei Coronavirus va molto oltre i miei scopi e a naso qua supererò le centomila parole, non lo descrivo nel dettaglio.

[3] Infilo a forza i miei paper in un articolo divulgativo, dio che trishtezzaaaaaaaaa

[4] Dopo aver descritto il dogma centrale della biologia molecolare in un paragrafo, passo umilmente a fare lo stesso con l’immunità umorale acquisita; mi ripeto, oltre che essere molto colorito, è tutto enormemente accorciato e semplificato – vi prego di approfondire su testi veri se vi interessa. Non posso assolutamente mettermi a scrivere di citochine, cellule APS, linfociti T helper, complesso maggiore di istocompatibilità e simili.

[5] Cerco di mantenermi su un livello di scurrilità accettabile, ma avete capito.

[6] Mi sa che l’hanno battezzato dei biologi molecolari.