Oh, non è che improvvisamente voglia fare un blog di critica letteraria, è che Vallardi continua ad inviarmi i libri di chimica che stampa (pur senza chiedermi nulla in cambio – e comunque, grazie).
Dopo aver ricevuto (a settembre) questo libro uscito a metà ottobre, l’undici (di febbraio) l’ho finalmente terminato. Ma il cazzeggio su Internet non distrae affatto dai propri progetti, eh.
Un ottimo biglietto da visita
Il libro è “Le stelle, l’uomo e gli elementi“, di Anya Røyne; si tratta della traduzione dell’originale uscito nel 2018, quindi, come nel caso di Yorifuji, di un libro che arriva in Italiano qualche tempo dopo la sua pubblicazione originale. Dico subito che non è un problema, il libro non appare datato in alcun passaggio e a differenza dell’altro caso si tratta poi solo di un paio di annetti. È interessante, però, il fatto che il libro abbia vinto il Brageprisen, “il più prestigioso premio letterario norvegese”, ed abbia ottenuto il riconoscimento nella categoria “non-fiction”, quindi non all’interno di un ambiente “protetto” come quello di premi dedicati esclusivamente alla letteratura scientifica. Fin qui, ciò di cui il libro si vanta in sovraccoperta; ma dentro cosa c’è?
Componentistica[1]: qualche difetto
“Le stelle, l’uomo e gli elementi” ha un prezzo di copertina di 16.90 Euro per 250 pagine di carta riciclata da azienda carbon-free, il che si sposa bene con diverse accenni alla preservazione degli ecosistemi trattata nel libro stesso. La grana leggermente ruvida e il colore grigio chiaro non sono sgradevoli, però lo spessore della carta è piuttosto ridotto, tanto da far intravedere i caratteri della facciata opposta e questo, anche se non è tanto marcato da ostacolare la lettura, può essere un poco fastidioso.
Il libro è di un bel formato 15 x 21.5 cm, che non lo rendono propriamente tascabile ma certamente portabile. Proprio riguardo alla portabilità, però, entrano in gioco i problemi legati alla solidità del libro. Questo, infatti, subisce il “viziaccio” di Vallardi di dotare di sovraccoperta tutti i suoi tascabili, brossurati o cartonati che siano. La resa però non è la stessa: se nel caso di un altro loro (vero) tascabile che posseggo e apprezzo, “La nazione delle piante” di Renato Bruni, la copertina rigida rende la sovraccoperta un punto a favore, qui la leggerezza della brossura crea due problemi. Il primo è che il libro in sé ha una copertina celeste del tutto anonima, che ad alcuni potrebbe piacere per il fascino amarcord ma che personalmente trovo decisamente “meh”, il secondo è che, portando in giro il libro, per esempio in uno zaino, la sovraccoperta non è sorretta da una copertina solida, quindi finisce inevitabilmente per schiacciarsi, slabbrarsi e strappucchiarsi[2]. Vedi foto esplicative sotto – certo, magari sono io che sono una bestia, però per chi ha un quotidiano nomade come il mio potrebbe essere rilevante. Personalmente avrei preferito una classica brossura, ovviamente con un cartoncino un po’ più spesso di quello effettivamente presente.
Direi che il mio feticismo materico è stato soddisfatto; proseguiamo con ciò per cui effettivamente si spendono i soldi di un libro, e cioè le informazioni che contiene.
Se funziona, non aggiustarlo
Ma anche “il meglio è nemico del bene” e “fin che la barca va”[3]. La struttura del libro è una di quelle ben consolidate nelle saggistica divulgativa: dopo un primo capitolo di storia naturale degli elementi, in cui si racconta la storia naturale dell’universo e della Terra sino ai giorni nostri, l’autrice prende in esame un elemento, o più spesso un gruppo di elementi affini fra loro per proprietà, e ne racconta la storia dell’utilizzo da parte della nostra specie, lo stato di sfruttamento attuale e le proiezioni sulla disponibilità futura, senza trascurare implicazioni storiche, sociali e politiche legate all’utilizzo.
A livello di forma, la sensazione è appunto che Røyne, anziché introdurre chissà che ardite sperimentazioni, abbia scelto di percorrere strade sicure e ben collaudate e, semplicemente, di farlo bene. Il che non è poco, intendiamoci. Il libro è come un metronomo: un capitolo introduttivo in cui, di nuovo, la storia naturale dell’universo (e dunque degli elementi) e del nostro pianeta viene ripercorsa utilizzando una metafora ben collaudata e cioè riportando quella quantità di tempo inconcepibile ad un anno solare, una serie di capitoli in cui si parte da una serie di circostanze concrete e, spesso quotidiane, per poi parlare degli elementi coinvolti, tre capitoli conclusivi in cui l’attenzione dell’autrice sposta progressivamente il fuoco dagli elementi all’energia (Røyne è una fisica di formazione, per cui suppongo sia stato piuttosto naturale) e che chiude con una critica al modello economico e un incitamento all’azione urgente per affrontare il problema dell’approvvigionamento energetico nel futuro. Decollo, volo, atterraggio.
Voglio essere chiaro: alla fine, questi meccanismi ben collaudati non risultano noiosi. Nessun piacere di grande inventiva, ma molta soddisfazione data da una esecuzione eccellente.
Molta Norvegia (e una critica)
Ora, dal generoso utilizzo del carattere “ø” che per la prima volta in vita mia mi sta facendo fare (son soddisfazioni), è piuttosto evidente che l’autrice , la ricercatrice Anya Røyne, sia norvegese. E nel libro c’è davvero molta Norvegia: gli esempi della vita quotidiana dell’autrice, ma anche storici e dell’industria contemporanea, fanno molti riferimenti alla situazione contemporanea del Paese scandinavo. Intendiamoci, non è necessariamente un difetto, è… strano. Un fatto piuttosto naturale, in effetti; ciascuno si riferisce alla realtà che i propri sensi percepiscono e ogni volta che leggo di quotidiani così diversi dal mio sono da un lato un po’ allontanato da ciò di cui sto leggendo, ma dall’altro anche incuriosito, e mi ritrovo a fissare il mondo da una finestra diversa dalla mia. E questo mi piace molto.
Poi vabbè, nel caso specifico forse qualunque appassionato di Black Metal sentirà aria di casa, ma cerco di scrivere per persone normali.
Comunque, questa declinazione norvegese è certamente una caratterizzante del libro; l’assenza di cosmopolitismo può certamente non piacere o non interessare, a me è piaciuta. E mi ha fatto parecchio rosicare in passaggi come questo a pagina 171:
In Norvegia ci serviamo delle centrali idroelettriche, e ogni volta che ci occorre un po’ di energia non dobbiamo fare altro che aprire la saracinesca che fa piombare l’acqua sulle turbine. Moltissimi altri Paesi, invece, si servono di combustibili fossili.
ma pazienza. L’orgoglio è, nelle parti sull’energia, abbastanza percettibile, ma mai fastidioso. La “norvegesità” del libro mi ha lasciato perplesso solo in un passaggio a pagina 167, e cioè:
Le società industriali scandinave non sono state fondate sul petrolio, ma sull’elettricità ricavata dall’acqua che il Sole solleva dai mari e porta in cima ai monti. Oggi, la Norvegia è piena di dighe, condotte forzate e turbine che ci riforniscono di energia pulita e rinnovabile.
Erhm… dottoressa Røyne, non lo metto in dubbio, ma non glisserei sul fatto che la Norvegia è stata ed è uno dei principali esportatori di petrolio d’Europa, con una produzione che al suo picco è stata di ventisette volte quella del secondo principale produttore EU, la Danimarca: insomma, molto del denaro per costruire quelle splendide centrali “verdi” arrivò proprio dalla vendita del greggio. Si può dunque dire propriamente che la società industriale norvegese non è stata fondata sul petrolio? Mah.
Un enorme respiro
Ora, la cosa più importante: questo non è un libro di chimica degli elementi. È un libro su come le proprietà degli elementi sono applicate a livello tecnologico, sulla loro storia geologica e industriale, sulle implicazioni geopolitiche del loro utilizzo, sulla loro ricorrenza in natura e disponibilità a lungo periodo in termini di sistema – e il sistema considerato è quello del pianeta Terra (e non solo). In ogni capito, Røyne parte da un fatto quotidiano o personale per poi espandere il discorso circa l’elemento o gli elementi trattati su un piano storico, industriale e infine di attualità per tutta l’umanità, concludendo con prospettive per il suo futuro a lungo e lunghissimo termine.
Questo respiro amplissimo è un qualcosa che ho adorato: mi piace in generale, come (seppure su un tema completamente diverso) fu quando lessi lo splendido Superintelligenza di Nick Bostrom in cui l’ampio respiro è applicato allo sviluppo tecnologico, e mi piace in particolare quando è applicato all’aspetto quantitativo della materia sul nostro sistema planetario.
Facendo un esempio: stimiamo tutto il ferro disponibile sulla Terra in 340 miliardi di tonnellate, del quale l’umanità dovrebbe essere in possesso di circa 50 miliardi di tonnellate, sino a circa 160 miliardi nel XXII secolo, poi estrarlo diventerà troppo costoso. Però nel frattempo l’arrugginimento del ferro non smetterà, così alla fine del 2400 dovremmo avere in totale 30 miliardi di tonnellate di ferro, cioè meno di oggi.
Non vi attaccate ai numeri: sono stime, derivanti da un solo studio (e questo è ben dichiarato). Però dà un’idea della portata del quadro dipinto da Røyne.
In conclusione
Mentre, scrivo, mi rendo conto di avere davvero apprezzato “Le stelle, l’uomo e gli elementi”; non c’è un capitolo da cui non abbia imparato qualcosa, e ho trovato un paio di ottimi spunti di approfondimento ulteriore, in particolare sulla limitata portata temporale di utilità dell’energia nucleare da fissione e sul modello di sviluppo economico. Devo dire che l’apprezzamento è cresciuto col tempo, il libro non è particolarmente “catchy” ma col tempo svela tutta la sua poderosa mole di nozioni molto ben distillate (sono arrivato alla fine prima del previsto perché le pagine da 207 a 243 servono solo ad elencare le fonti utilizzate! Capisco perché l’autrice si sia presa un’aspettativa per scriverlo) e rese molto ben digeribili.
NON è un libro che racconti nel dettaglio cos’è e cosa fa ciascun elemento (per quello rimando ancora semmai al libro di Yorifuji) quanto piuttosto una bella panoramica, ricchissima di spunti, su “La fantastica e catastrofica relazione tra noi e il pianeta che abitiamo” “Un racconto straordinario che unisce scienza, storia e antropologia”, come recita la quarta di copertina.
Lo consiglio? Sì, soprattutto se vi interessa una prospettiva enormemente razionale all’ambientalismo, inteso come cura di un sistema (il nostro pianeta) per preservare le sue parti (noi scimmie).
E poi beh, se un chimico è riuscito a leggere un libro sugli elementi scritto da una fisica non può essere male, no?
Ancora una volta, grazie a Vallardi per l’invio, l’ho apprezzato molto e mi è spiaciuto, al netto delle battute, aver potuto scrivere del libro solo adesso. Al solito, la mia pagina Facebook su cui ogni tanto dico cose e riecco per praticità il link per acquistare il libro, qui.
Alla prossima!
Le (essenziali) note
[1] Oh, non badate al titolo del paragrafo, è un termine che si usa nelle recensioni dei giochi da tavolo per indicare le componenti fisiche del gioco stesso. Una nerdata così, de botto, senza senso.
[2] Ok, questa è una parola inventata.
[3] Perché noi Italiani dobbiamo sempre impegnarci a fare schifo?